La Basilica di San Domenico
ad Arezzo, città d'arte toscana che puoi conoscere dettagliatamente con questo sito
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UN CAPOLAVORO DI CENNI DI PEPO
Gran parte della notorietà della Basilica di San Domenico ad Arezzo è certamente dovuta alla presenza di quell'opera straordinaria che vediamo nella foto: il Crocifisso di Cimabue.
Questa stupenda croce dipinta appartiene ai lavori giovanili di Cenni di Pepo, nome di battesimo di Cimabue (Firenze 1240 - Pisa 1302). L'opera è infatti databile tra il 1265 e il 1270. Con questo dipinto a tempera e oro su tavola di notevoli dimensioni (cm 336x267) Cimabue rompe con i canoni di una pittura "piatta" come quella bizantina che andava per la maggiore fino a quel momento. Con un accentuato utilizzo del chiaro scuro modella il corpo del Christus Patiens (morente sulla croce con occhi chiusi, testa poggiante sulla spalla e corpo inarcato) con una muscolatura molto evidente e fortemente contratta. Per la realizzazione di questa croce dipinta Cimabue s'ispira certamente al crocifisso di Giunta Pisano (1200 - 1260) nella Chiesa di San Domenico a Bologna ritenuta la chiesa di riferimento per l'Ordine Domenicano. E' probabile che la somiglianza tra le due opere sia stata un'esplicita richiesta dei frati dominicani di Arezzo. Ai lati della croce sono dipinte le classiche figure della Vergine e San Giovanni Evangelista. Queste, con atteggiamento identico, voltate verso il Cristo e testa inclinata poggiante su una mano, sembrano specchiarsi una con l'altra.
In un periodo tra il 1275 e il 1280 Cimabue realizzò un crocifisso per la Chiesa di Santa Croce a Firenze molto simile a quello di Arezzo, anche se più grande (circa un metro in più di altezza e di larghezza). Quest'opera subì danni grandi e irrimediabili per l'alluvione del 1966 per cui la croce dipinta di Arezzo rimane quella un cui meglio si può apprezzare la capacità pittorica e lo stile innovativo dell'artista fiorentino.
Il crocifisso di Cimabue di Arezzo per moltissimi anni è rimasto nella "penombra". Nel 2005 è stato oggetto di un attento e profondo restauro che gli ha restituito i suoi caldi e vivaci colori originali che, quando la luce esterna si fa bassa, contrastano in modo stupendo con il celeste di cui si tingono le vetrate retrostanti (come mostra la foto). Con la sua luminosità quest'opera è un vero faro sull'intera arte della Città di Arezzo.
Questa stupenda croce dipinta appartiene ai lavori giovanili di Cenni di Pepo, nome di battesimo di Cimabue (Firenze 1240 - Pisa 1302). L'opera è infatti databile tra il 1265 e il 1270. Con questo dipinto a tempera e oro su tavola di notevoli dimensioni (cm 336x267) Cimabue rompe con i canoni di una pittura "piatta" come quella bizantina che andava per la maggiore fino a quel momento. Con un accentuato utilizzo del chiaro scuro modella il corpo del Christus Patiens (morente sulla croce con occhi chiusi, testa poggiante sulla spalla e corpo inarcato) con una muscolatura molto evidente e fortemente contratta. Per la realizzazione di questa croce dipinta Cimabue s'ispira certamente al crocifisso di Giunta Pisano (1200 - 1260) nella Chiesa di San Domenico a Bologna ritenuta la chiesa di riferimento per l'Ordine Domenicano. E' probabile che la somiglianza tra le due opere sia stata un'esplicita richiesta dei frati dominicani di Arezzo. Ai lati della croce sono dipinte le classiche figure della Vergine e San Giovanni Evangelista. Queste, con atteggiamento identico, voltate verso il Cristo e testa inclinata poggiante su una mano, sembrano specchiarsi una con l'altra.
In un periodo tra il 1275 e il 1280 Cimabue realizzò un crocifisso per la Chiesa di Santa Croce a Firenze molto simile a quello di Arezzo, anche se più grande (circa un metro in più di altezza e di larghezza). Quest'opera subì danni grandi e irrimediabili per l'alluvione del 1966 per cui la croce dipinta di Arezzo rimane quella un cui meglio si può apprezzare la capacità pittorica e lo stile innovativo dell'artista fiorentino.
Il crocifisso di Cimabue di Arezzo per moltissimi anni è rimasto nella "penombra". Nel 2005 è stato oggetto di un attento e profondo restauro che gli ha restituito i suoi caldi e vivaci colori originali che, quando la luce esterna si fa bassa, contrastano in modo stupendo con il celeste di cui si tingono le vetrate retrostanti (come mostra la foto). Con la sua luminosità quest'opera è un vero faro sull'intera arte della Città di Arezzo.